John Bowlby
Il corpus teorico della teoria
La teoria dell'attaccamento si fonda sul lavoro teorico di uno ricercatore e psicoanalista britannico, John Bowlby, si è successivamente sviluppata in maniera significativa, grazie al lavoro della psicologa dell'età evolutiva Mary Ainsworth.
I bagagli teorici da cui Bowlby elaborò la sua teoria erano due: il primo era la psicoanalisi, il secondo invece era l'etologia; era stato particolarmente colpito dal fenomeno descritto da Lorenz (1949).
Le oche appena nate seguivano la propria madre e mostravano segni di angoscia quando erano separate da lei, indipendentemente dal fatto che essa fornisse loro del cibo. Un altro esempio che Bowlby osservò fu quello di un altro studio di Harlow (1958) sulle scimmie. In particolare questi primati erano allevati da due tipologie di“madri fantoccio”. Quest'ultime si differenziavano per due caratteristiche: una madre aveva attaccato un biberon dal quale le scimmie ricevevano il nutrimento; l'altra, invece, era coperta da una stoffa morbida e lanosa ma non forniva nessun sostentamento. Questi animali passavano fino a diciotto ore al giorno attaccati alla madre “pelosa” anche se erano nutrite dall'altra tipologia di pseudo-esemplare. Lo stesso Bowlby concluse quindi che il legame di attaccamento prescinde dal nutrimento; le scimmie e le oche erano la dimostrazione che questi animali si nutrivano senza avere nessun legame. Lo psicoanalista, dopo aver compreso tali risultati, si allontanò dalla corrente psicoanalitica classica. Bowlby infatti sosteneva che tale paradigma poneva attenzione solo alle fantasie inconsce e alla pulsione sessuale che erano considerati i motivatori principali di ogni comportamento (Cena, Imbasciati, Baldoni, 2010). Si discostò inoltre dalle idee originarie psicoanalitiche e sostenne che lo scopo primario del sistema di attaccamento era la protezione dai predatori che doveva essere la funzione principale delle relazioni di ogni essere umano. Pertanto, i bambini hanno bisogno di stare vicino alla loro madre e di segnalarle un'eventuale separazione, affinché si sentano sicuri dai predatori.
Egli inoltre mise in discussione lo sviluppo della personalità nel quale tutte le fasi (orale, anale, fallica e genitale) si susseguono in modo lineare; si oppose infine al modello freudiano secondo cui lo sviluppo era predeterminato attraverso un modello preesistente. Bowlby teorizzò che, sebbene il bambino avesse una propensione a formare attaccamenti, la loro natura e le loro dinamiche dipendevano dall'ambiente genitoriale nel quale ogni infante si trovava immerso. L'attaccamento poteva essere considerato un processo a sé stante, indipendente da altre dinamiche psicologiche ed evolutive.
Bowlby inoltre fu influenzato dall'evoluzionismo neodarwiniano di Tinbergen (1951) e Hinde (1982b). Tale modello teorico, in seguito chiamato Cibernetico, sosteneva che i sistemi di controllo sono veicolati secondo uno scopo. Il sistema ad esempio controlla che sia mantenuta la vicinanza della figura di attaccamento, se ciò non avviene, si attiva la protesta, quale comportamento necessario per ripristinare la condizione ottimale di vicinanza. Quindi, invece di utilizzare un modello energetico di stampo psicoanalitico, veniva proposto un modello basato su sistemi di controllo, orientati al raggiungimento di scopi specifici, corretti e modulati dalle informazioni provenienti dall'ambiente. Liotti (2001) ha sottolineato come la teoria dell'attaccamento si inserisce in un modello “cibernetico” di funzionamento della mente, dove il compito principale dell'apparato psichico è gestire le informazioni, sia provenienti dall'ambiente esterno che da quello interno dell'individuo.
Primi Studi
I primi studi retrospettivi svolti da Bowlby (1944) si riferivano a storie di bambini e adolescenti presso la clinica (Child Guidance Clinic) dove a quel tempo lavorava. I soggetti della ricerca avevano subìto delle separazioni dalle madri naturali o adottive durante i primi cinque anni di vita. I fattori che il ricercatore considerava di grande rilevanza erano:
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la separazione, i bambini erano allontanati dalle persone e dai luoghi che erano loro familiari e inseriti in contesti e famiglie che erano sconosciuti e minacciosi.
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Una volta separato, il bambino rispondeva all'assenza dei suoi genitori con rabbia intensa e distruttività.
Anche nei casi in cui una separazione non fosse avvenuta, la madre aveva il compito di contenere le esplosioni rabbiose del figlio. Una presenza rassicurante (caregiver) permetteva a queste fantasie distruttive di essere modificate nella relazione e quindi il venir meno della loro forza distruttrice nella mente del bambino. La teoria Bowlbyana insisteva pertanto su tre temi importanti:
la perdita, come il fattore scatenante dei problemi psicologici;
l'importanza del caregiver nel neutralizzare la rabbia;
il ritiro affettivo come difesa contro il dolore da un bisogno non gratificato e non corrisposto o di una rabbia affrontata in solitudine.
Altre osservazioni dirette (Bowlby, Robertson, 1952) condotte in un altro istituto clinico dimostrarono ulteriormente che i bambini che facevano esperienza della separazione o della privazione della figura di attaccamento provavano intense emozioni di dolore: infelicità, bramosia, proteste rabbiose, disperazione, apatia e ritiro in se stessi. I bambini in un primo momento piangevano e ricercavano il genitore e rifiutavano i tentativi dell'équipe medica di distrarli. Successivamente sembravano annoiati, indifferenti, apatici. Si isolavano perciò dai loro coetanei, guardavano immobili il vuoto e mangiavano poco. Queste reazioni emotive furono diversificate da Bowlby attraverso tre fasi: la protesta, il ritiro in se stessi e infine il distacco. Reazioni di protesta emergevano anche quando questi bambini erano riuniti ai loro genitori che diventavano oggetto di sentimenti misti: attacchi di rabbia e abbracci stretti e prolungati.
Bowlby aveva rilevato che gli effetti a lungo termine di queste separazioni potevano talvolta essere disastrosi e condurre alla nevrosi o alla delinquenza nei bambini, negli adolescenti e negli adulti. Il distacco di un genitore dal proprio figlio causava una rottura di un legame delicato tra un essere umano e un altro. Era inoltre interessato allo studio degli effetti della separazione precoce dai genitori sullo sviluppo della personalità, un problema piuttosto diffuso in Inghilterra durante la Seconda Guerra Mondiale. In questo periodo infatti molti bambini venivano allontanati dai familiari e mandati in campagna, al sicuro dai bombardamenti nemici.
Che cos'è la teoria dell'Attaccamento?
L'attaccamento può essere definito come un sistema dinamico di comportamenti e atteggiamenti che possono contribuire a creare un legame specifico tra due persone. Esso può essere definito sicuro o insicuro, nel primo caso significa sentirsi appunto sicuri e protetti; nel secondo invece implica una moltitudine di emozioni contrastanti e concomitanti (paura, dipendenza, amore, vigilanza, irritabilità) verso la figura primaria.
Il comportamento di attaccamento è quindi attivato da una situazione di separazione dalla figura primaria o da un'eventuale minaccia di allontanamento ed è eliminato o mitigato attraverso un'eventuale vicinanza (visiva e/o fisica). Bowlby (1983) definisce il comportamento di attaccamento quell'insieme di azioni che un individuo mette in atto per ottenere la vicinanza di un adulto di riferimento. I bambini nascono provvisti di sistemi comportamentali pronti per essere attivati da particolari configurazioni di stimoli.
Il sistema dei comportamenti di attaccamento viene definito come quell'insieme di regole innate che controllano un comportamento diretto a un fine. Gli elementi di cui i cuccioli nascono provvisti e che hanno la funzione di stimolare una relazione di accudimento e quindi di attaccamento sono: la rotondità e la sproporzione tra la testa e il corpo, alcuni particolari segnali che i cuccioli producono. Tali caratteristiche del cucciolo esprimono un palese atteggiamento di sottomissione; non c'è quindi alcun elemento di aggressività nell'espressività di un cucciolo, anzi in genere tale posizione induce negli animali un blocco di un eventuale comportamento aggressivo. L'essere in uno stato di difficoltà non solo ferma l'aggressore ma richiama dei comportamenti di protezione e accudimento per il cucciolo. I bambini e i cuccioli in generale nascono provvisti di questi sistemi che attivano nelle madri comportamenti di protezione e vicinanza. Una madre ha una tendenza innata a proteggere la propria prole perché ci sono delle caratteristiche del bambino che la spingono ad accudirlo. Questo rapporto costante che la madre offre a suo figlio permette a quest'ultimo di stabilire con lei una relazione speciale. Nel lattante queste regole di comportamento sono organizzate in schemi percettivo-motori molto semplici. Si tratta di un sistema innato, tutte le persone ne sono provviste in virtù del proprio patrimonio biologico. Tale apparato psicologico ha un significato motivazionale, induce il neonato a rimanere vicino alle persone che si prendono cura di lui, ossia ricercare la vicinanza fisica, soprattutto quando l'ambiente circostante è percepito come minaccioso. Il bambino che resta attaccato a un adulto per ricevere sicurezza e consolazione è un esempio di comportamento motivato dal sistema comportamentale di attaccamento.
Una relazione di attaccamento per essere considerata tale deve soddisfare almeno tre caratteristiche:
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la ricerca di vicinanza a una figura preferita;
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l'effetto“base sicura”;
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la protesta per la separazione.
La prima condizione prevede che il bambino debba essere fortemente incline a seguire le sue figure d'attaccamento. La distanza alla quale il piccolo si sente a suo agio dipende da vari fattori (temperamento, età, storia dello sviluppo, malattia, paura) che promuovono o meno un comportamento di attaccamento. Tale teoria però accetta il primato che solitamente è la madre che si prende cura del bambino ma niente vieta che possano essere i padri le principali figure d'attaccamento.
L'effetto “base sicura” (Ainsworth, 1982) è un'altra caratteristica, tale condizione crea un trampolino per la curiosità e l'esplorazione. Quando ci sono degli eventi pericolosi, qualunque bambino si aggrappa alle proprie figure di attaccamento. Ogni volta che è passato il pericolo, si rilassa e può riprendere a giocare, ma soltanto se è ben sicuro che la figura alla quale fa riferimento sia nuovamente disponibile qualora ne avesse ancora bisogno.
L'ultima condizione permette d'identificare la protesta come la risposta primaria causata dai bambini nel momento in cui si separano dai genitori. Pianto, grida, urla, morsi e calci sono i comportamenti che rappresentano la normale reazione di fronte alla minaccia di un'eventuale separazione e hanno la funzione di riparare o punire chi si prende cura di lui.
Un'importante caratteristica dei legami di attaccamento è la loro resistenza, nonostante alcuni bambini subiscano maltrattamenti e punizioni severe rafforzano il loro comportamento di attaccamento.
La relazione madre-bambino, attivata in maniera geneticamente codificata, si modulerà in modo diverso a seconda della tipologia di risposta della madre. Le reiterate esperienze di risposta del caregiver plasmeranno nel bambino le strategie più efficaci per ottenerne la vicinanza (La Mela, Masetti, Freccioni, 2015).
Lo sviluppo del Sistema di Attaccamento
Il sistema di attaccamento impiega alcuni mesi prima di svilupparsi, solo dopo i primi sei mesi l'infante esibisce attraverso dei comportamenti la ricerca della vicinanza, l'effetto base sicura e la protesta per la separazione. Lo sviluppo di tale sistema richiede un periodo suddiviso in tre fasi.0-6 mesi: i neonati non ancora hanno maturato la capacità di riconoscere un volto, tuttavia reagiscono intensamente di fronte a un contatto umano. Intorno alla quarta settimana di vita, il sorriso del bambino evoca un sorriso di rispecchiamento nella madre, quanto più lei risponde al sorriso tanto più il bambino continua a sorridere e cosi via.
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6 mesi – 3 anni: verso i sette mesi l'infante comincia a esprimere l'ansia per l'estraneo, diventando così silenzioso e aggrappandosi alla madre in presenza di una persona sconosciuta (Spitz, 1950). Questi cambiamenti nell'infante coincidono con la maturazione dell'apparato locomotorio che comporta un sistema di attivazione molto più complesso quando il bambino deve rimanere a contatto con la propria madre. Il lattante gattona verso la madre che deve sapere che il piccolo si muove verso di lei e invia segnali di protesta o di angoscia, quando lei decide di allontanarsi. Questa fase è definita “set-goal”poiché Bowlby si raffigura il sistema di attaccamento come a un“termostato”, un sistema di controllo a feedback. Il bambino vuole mantenersi abbastanza vicino a sua madre che diventa una “base sicura”per poter esplorare l'ambiente circostante; può rivolgerle delle proteste quando la madre si allontana.
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Dai 3 anni in poi: in questo periodo il piccolo matura il linguaggio e in seguito allo sviluppo psicofisico sviluppa un pattern di attaccamento molto più complesso e articolato rispetto ai mesi precedenti. Lui può ora pensare ai genitori come persone separate e attuare delle strategie per influenzare i loro comportamenti. Quando infatti la madre lo lascia, lui può supplicarla, circuirla, affascinarla o tenere il broncio nel tentativo di mantenere l'attaccamento, piuttosto che piangere o aggrapparsi a lei come avrebbe fatto uno o due anni prima. Bowlby sostiene che nel corso del processo di maturazione del legame di attaccamento ognuno dei due (madre-figlio) è cambiato. Lei ha imparato a reagire in modoparticolarea qualunque manifestazione mentale del bambino e lui ha appreso a prevedere qualsiasi manifestazione emotiva della madre e a reagire in un modo altrettanto caratteristico.I due si sono plasmati a vicenda; il bambino prevede come la madre si comporterà in un determinato momento. La strategia di attaccamento ha proprio questa funzione, quella di prevedere quale sarà il comportamento materno e quindi il bambino imparerà come comportarsi per ottenere la vicinanza e l'accudimento.
I Modelli Operativi Interni
Il bambino, in fase di sviluppo, costruisce dei modelli di sé e degli altri basati su pattern ripetuti di esperienze interattive. In altre parole le relazioni genitore-figlio danno origine nel bambino a rappresentazioni mentali simboliche che riguardano il sé e i caregiver. Questi “modelli rappresentazionali”sono fissi e l'infante li usa per predire il mondo e mettersi in relazione con esso. Una volta formate, tali rappresentazioni, hanno la caratteristica di essere durevoli, costituendo strutture di personalità che persistono nel tempo.
L'attaccamento può essere suddiviso in tre categorie distinte: sicuro, insicuro-evitante, insicuro-resistente.
Un bambino con un attaccamento sicuro si costruisce un modello operativo interno di una persona che si prende cura di lui, amorosa, sensibile, affidabile e di un sé che è meritevole di amore e attenzione, di conseguenza interpreterà le relazioni con questi presupposti. Un bambino invece con un attaccamento insicuro può interpretare il mondo come un posto pericoloso, nel quale le persone devono essere trattate con grande precauzione e si considera come incapace e non meritevole di amore. Infanti diversi sperimenteranno relazioni diverse che di conseguenza faranno consolidare dei modelli operativi interni che procureranno delle differenze sia sul piano emotivo che comportamentale.
Il bambino insicuro cerca di minimizzare i suoi bisogni di attaccamento allo scopo di prevenire il rifiuto, rimanendo contemporaneamente in un contatto distante con il caregiver; i bisogni del piccolo sono rimossi dalla coscienza.
Nella strategia ambivalente il bambino si aggrapperà alla madre o a chi si prende cura di lui attraverso una sottomissione eccessiva o con l'adozione di un inversione di ruolo: il figlio si occuperà quindi di soddisfare i bisogni del genitore. I sentimenti di rabbia sono soggetti all'esclusione dalla coscienza. Negli studi successivi di Main e Solomon (1986) fu scoperta un'altra categoria (insicuro-disorganizzato) che mostrava nei bambini una vasta gamma di comportamenti confusi, come per esempio il restare “paralizzati” o avere comportamenti stereotipati quando erano riuniti al proprio caregiver. Inoltre le loro risposte erano caratterizzate dalla disorganizzazione: i comportamenti erano privi di obiettivi, contraddittori e conflittuali. Il bambino appariva disorientato, ovvero attuava comportamenti che segnalavano una mancanza di orientamento nell'ambiente circostante. Secondo Bowlby, i modelli operativi interni si esprimono attraverso il ripetersi nel tempo di un particolare stile di attaccamento nella relazione madre-figlio. Oggi non parliamo più di modelli operativi interni ma di rappresentazioni. Il piccolo utilizza tali rappresentazioni per predire il comportamento della madre e modulare il contatto con lei. In secondo luogo, in virtù della tendenza degli schemi a perpetuarsi e generalizzarsi, tale modello relazionale diviene il prototipo delle successive relazioni interpersonali. Attraverso la crescita, l'acquisizione di nuove competenze e capacità, l'instaurarsi di nuove relazioni, il bambino arricchisce ed articola i suoi modelli operativi. Questi ultimi conterranno la rappresentazione di sé, le informazioni su ciò che ciascun genitore afferma rispetto al bambino e le informazioni sullo stato affettivo associato alla relazione. La teoria dell'attaccamento è stata quindi proposta dallo psichiatra inglese John Bowlby e successivamente è stata ampliata con il contributo di Mary Ainsworth che ha ideato la ricerca “Strange Situation”.
La Strange Situation
Mary Ainsworth, influenzata dalla teoria dell'attaccamento, voleva ideare una procedura di accertamento standardizzata per le madri e i loro bambini che potesse essere sia naturalistica che valutabile in modo affidabile, simile ai metodi utilizzati dagli sperimentatori animali come Harlow (1958) e Hinde (1982a). Aveva lavorato con Bowlby negli anni cinquanta, si era poi trasferita in Uganda dove aveva fatto studi naturalistici sulle madri con i loro piccoli, e infine si era stabilita a Baltimora, nel Maryland. La ricercatrice in prima battuta incentrò i suoi studisulla capacità di esplorazione dei bambini, solo successivamente approfondì lo studio, osservando la relazione che intercorre tra la diade madre-bambino e il sistema esplorativo dell'infante. La“Strange Situation”fu quindi messa a punto per valutare quanto i legami più stretti potevano permettere una maggiore capacità esplorativa del bambino e legami più deboli potevano di conseguenza inibire tale azione esplorativa del piccolo. Così la Ainsworth si accorse che diversi comportamenti riscontrati all'interno di questa procedura erano molto ben correlabili a certe caratteristiche della diade e delle madri, raccolte durante lo studio precedente. La “Strange Situation”, elaborata da Mary Ainsworth (Ainsworth, Blehar, Waters et al., 1978), è stata concepita per identificare le differenze individuali negli stili di attaccamento mediante l'osservazione diretta tra genitore e figlio. Attraverso questa procedura, i ricercatori osservarono le reazioni dei bambini di fronte a un eventuale separazione e alla conseguente riunione del caregiver all'interno di un contesto sperimentale strutturato.
La“Strange Situation” è un “dramma in miniatura” in otto atti, ogni fase dura tre minuti:
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il bambino e la madre vengono fatti accomodare nella stanza con il compito di facilitare il gioco o l'esplorazione del piccolo. Ciò permette di valutare la capacità esplorativa del figlio, quale contatto prossimale ha con la figura di riferimento, se ha bisogno di lei per iniziare ad esplorare.
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L'estranea entra nella stanza, la quale ha due funzioni: in un primo momento deve interagire con la madre e ciò permette di analizzare quanto il piccolo tollera questo momento di esclusione rispetto all'attenzione primaria della figura di attaccamento e in che misura la madre facilita e tollera lei stessa questo tipo di separazione dal bambino.
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L'allontanamento della madre dalla stanza, previo segnale. In tale circostanza può spiegare al figlio cosa accade. Le indicazioni sono piuttosto vaghe, le madri in genere sono invitate a comportarsi come ritengono che sia più utile. In questo momento pertanto è possibile valutare come lei comunica al bambino cosa sta accadendo e se cerca di cogliere la sua reazione e come si comporta di conseguenza.
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Rientra la madre nella stanza e quasi contemporaneamente esce l'estraneo.
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La madre gioca con il bambino.
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La figura di attaccamento è nuovamente invitata a lasciare la stanza e il piccolo rimane da solo.
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Rientra ancora una volta l'estraneo quando il bambino manifesta troppo disagio.
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Infine la madre rientra nella stanza e l'estraneo esce definitivamente, gioco finale tra la diade madre-figlio.
Sulla base di questa ricerca Ainsworth e colleghi (ibidem) hanno classificato i bambini secondo diverse tipologie di attaccamento. Il 66% dei bambini presenta un “attaccamento sicuro”(B),erano sensibili all'allontanamento della madre, ma la salutavano al suo ritorno, erano facilmente consolabili e subito dopo si dedicavano nuovamente all'esplorazione e al gioco. Se il piccolo aveva pianto durante la separazione, si lasciava prendere in braccio, si calmava subito e riprendeva a giocare. La madre appariva sensibile e responsiva ai segnali e alle richieste del figlio.
Circa il 20% dei bambini della ricerca invece presentava una stile di attaccamento detto “insicuro-evitante”(A),essi esprimevano scarsa protesta per la separazione dalla madre, al suo ritorno la evitavano rivolgendo altrove lo sguardo, girandosi o allontanandosi da lei. Questo gruppo sembrava indifferente ai comportamenti della madre; appariva soprattutto interessato ai giochi. Il bambino evitante mostrava indifferenza alla separazione e alla solitudine; nel momento della riunione non si avvicinava alla figura di riferimento, non la cercava oppure si allontanava attivamente da lei. Si mostrava così completamente interessato ai giochi. Le madri dei bambini evitanti sembravano tendenzialmente rifiutare il contatto fisico, anche di fronte a situazioni di stress per il figlio.
Il restante 12% del gruppo è stato classificato “insicuro-ambivalente”(insicuro-resistente), nonché categoria C. Questi bambini mostravano difficoltà a separarsi dalla madre e a riunirsi a lei dopo il suo ritorno. Il loro comportamento era caratterizzato da una richiesta lamentosa di essere presi in braccio, unita però al tentativo di divincolarsi dall'abbraccio materno e dalla richiesta di essere lasciati a terra (Cervone, Pervin, 2017). Questo gruppo tendeva a mantenersi stretto alla madre, il comportamento esplorativo appariva ridotto rispetto ai bambini sicuri e a quelli evitanti. Quando la madre era assente, il bambino manifestava intenso sconforto e pianto, riducendo drasticamente l'esplorazione. In presenza della madre e dei tentativi messi in atto per calmarlo, il piccolo mostrava rabbia intensa e inconsolabile. Il comportamento materno appariva imprevedibile nel rispondere alle richieste del figlio.
La Danza della Sintonizzazione
I bambini si attaccano a chiunque funzioni come il loro caregiver primario. Tuttavia, la qualità dell'attaccamento, che sia sicuro o insicuro, svolge un'importante differenza nel corso della vita di un bambino. L'attaccamento sicuro è garantito dalla sintonizzazione emotiva del caregiver. La sintonizzazione inizia dai più sottili livelli fisici di interazione tra i neonati e il caregiver e ciò conferisce al neonato la sensazione di essere accolto e capito (Van Der Kolk, 2015). I lattanti infatti hanno pochissimo tempo di risposta, manifestano bassi tempi di tolleranza alla frustrazione. Un neonato che si sveglia o che ha un bisogno, generalmente comincia a far sentire la sua voce, dopo circa sessanta secondi; (Cena, Imbasciati, 2009); se la madre non risponde immediatamente alle richieste del bambino, quest'ultimo protesta attraverso una crisi di pianto. Successivamente acquietare e consolare un bambino in questa condizione diventa un processo estremamente difficile e faticoso (Brunelli, Balzani, Briganti, 2006). I bambini, quando smettono di piangere, conservano delle contratture a livello corporeo che si esprimono anche dopo molte ore attraverso delle scariche motorie. Nell'interazione madre-figlio è quindi fondamentale il processo di continuità e regolarità del legame. Gli studi di Spitz (1946) hanno evidenziato che i bambini che non potevano avere un contatto continuo e regolare con la madre, mostravano sintomi di chiusura in se stessi. La ricerca sperimentale ha confermato ad esempio che nei piccoli animali la mancanza di un contatto continuo con la madre, l'incostanza delle cure o la loro carenza producono un effetto disorganizzante sull'equilibrio della prole. A questo proposito gli studi di Hofer (1994) dimostrano che nei ratti le funzioni fisiologiche (ritmo cardiaco, ritmo respiratorio, ritmo del sonno, la temperatura corporea, l'ormone della crescita) dei piccoli sono regolate dal contatto con la madre. La sensibilità materna è l'appropriatezza e la prontezza con cui le madri rispondono ai segnali dei loro bambini. Una “buona risposta materna” può pertanto essere espressa con una certa sensibilità e si manifesta attraverso un'adeguata regolazione emotiva della relazione, che a sua volta consente una qualità di apprendimenti che saranno tanto più ottimali quanto più questa relazione si costruisce attraverso una trasmissione di cure sintoniche ai bisogni del figlio (Van Der Kolk, 2015).
La Ainsworth (1978) scoprì che i bambini delle madri sensibili tendevano a piangere meno, dimostrando di aver minor bisogno di contatto ravvicinato che, quando si verificava, appariva più affettuoso e appagante da parte della coppia madre-figlio. Tali comportamenti erano quindi il risultato di aspettative positive che alcuni bambini avevano maturato nei confronti della madre, conseguenza di precedenti esperienze di soddisfazione. La condizione in cui il bambino si trova, se la madre non risponde, è di una tale sofferenza che se questa situazione si ripete sistematicamente una serie di volte, il bambino non esprimerà più, attraverso il pianto, il suo bisogno (Sander, 2000).
La chiave dell'attaccamento sicuro è un'interazione attiva e reciproca e sembra che sia la qualità dell'interazione più che la quantità a essere importante (Rutter, 1981). Il solo contatto passivo nella diade genitore-bambino non promuove necessariamente un attaccamento sicuro, scoperta che contraddice il punto di vista di Bowlby sulle cause della deprivazione materna (Holmes, 1993).
L' Adult Attacchment Interview
Mary Main è una psicologa e ricercatrice statunitense che, come precedentemente accennato, ha individuato un quarto stile di attaccamento (disorganizzato), attraverso il protocollo della Strange Situation. Main e collaboratori(Main, Kaplan, Cassidy, 1985) hanno creato “l'Adult Attacchment Interwiew” basandosi sulla “Strange Situation” per bambini. Questo protocollo è un'intervista semistrutturata per valutare lo stile di attaccamento negli adulti, in altre parole per valutare i modelli operativi del mondo interno del genitore in relazione all'attaccamento. Lo scopo di tale intervista è“sorprendere l'inconscio”e produrre così una rivelazione (Main, 1991). Al soggetto si chiede di scegliere cinque aggettivi che descrivono nel modo migliore la sua relazione con ognuno dei genitori durante l'infanzia e di sostanziarli attraverso dei ricordi specifici. Le interviste venivano registrate e classificate secondo otto criteri: la relazione con la madre, la relazione con il padre, inversione di ruolo con il genitore, la qualità delle esperienze ricordate, rabbia verso i genitori, idealizzazione delle relazioni, svalutazione dei rapporti d'amore e infine la coerenza del racconto. I risultati sono classificati secondo i criteri sopra-esposti attraverso quattro categorie: “autonomo-sicuro”, “abbandonante-distaccato”, “preoccupato-intrappolato”, “irrisolto-disorganizzato”. Le persone riconducibili alla prima categoria forniscono narrazioni di infanzie sicure descritte in modo coerente. Anche se le loro esperienze sono state in alcuni momenti negative, emerge un senso del dolore provato, elaborato e infine risolto.
Il gruppo “abbandonante-distaccato”fornisce racconti incompleti e brevi, asserendo di aver pochi ricordi dell'infanzia e tendono a idealizzare il passato con espressioni del tipo: “Ho avuto un'infanzia perfetta”. Gli adulti “preoccupati-intrappolati”descrivono delle esperienze dell'infanzia in modo caotico e incostante, nelle quali sembrano ancora coinvolti in conflitti e difficoltà passate. La categoria “irrisolta-disorganizzata”è classificata a parte e si riferisce specificamente a eventi traumatici come violenze a bambini che non sono state emotivamente risolte.
La Main e Goldwyn (1984) hanno scoperto che il 75 % dei bambini sicuri avevano madri che erano classificate “sicure-autonome”; le madri dei bambini “evitanti”tendevano a essere “abbandonanti-distaccate”e bambini “ambivalenti”avevano genitori “preoccupati-intrappolati”; altri studi (Ainsworth, 1989; Fonagy, 1991) hanno successivamente confermato tali risultati.
Il Modello Dinamico Maturativo dell'Attaccamento
Il Modello Dinamico-Maturativo dell'attaccamento (Dynamic-Maturational Model, DMM), sviluppato grazie al contributo di Patricia Crittenden (2000, 2006, 2008a, 2008b), attinge da diversi bagagli teorici: psicoanalisi, psicologia evolutiva, neuroscienze, teorie evoluzionistiche, psicologia cognitiva e infine le teorie sistemiche.
Considerando i precedenti studi di Bowlby e della Ainsworth, il DMM interpreta i comportamenti in termini di selezione naturale e adattamento all'ambiente (prospettiva evoluzionistica). Tale teoria è partita da studi empirici di madri e neonati e sostiene che gli esseri umani hanno una predisposizione innata a organizzare strategie con la funzione di proteggere il Sé (Bowlby, 1969; Crittenden, 1997). Pertanto è posta maggior attenzione all'evoluzione dei processi di attaccamento che si diversificano in base a eventuali esperienze pericolose vissute dall'individuo. Le informazioni pertinenti alla predilezione e alla protezione dalpericolo sono la base primaria per la qualità dell'attaccamento (Crittenden, 1997). In tale teoria infatti si pone minore importanza al concetto di “Base Sicura”che rispetto alle teorie precedenti favoriva l'esplorazione.
Le informazioni sensoriali in entrata, secondo il modello dinamico maturativo e la teoria dell'attaccamento, subiscono due tipi di trasformazioni: la prima si basa sull'ordine temporale degli eventi che chiamiamo “informazione cognitiva”; la seconda basata sull'intensità delle stimolazioni sensoriali che chiamiamo “informazione affettiva”. I bambini si rappresentano ciò che colpisce i loro organi di senso e quindi la loro mente. Bowlby (1982), utilizzando una distinzione operata da Tulving (1972), sostiene che le informazioni di ciascun modello operativo, le informazioni di ogni rappresentazione, cognitiva e affettiva, sono conservate in diversi sistemi di memoria. Le conoscenze attuali, nell'ambito della ricerca psicologica, ipotizzano l'esistenza di almeno 4 sistemi di memoria: la “memoria procedurale”, la “memoria semantica”, la “memoria per immagini”e infine la “memoria episodica”. La memoria procedurale è la prima a svilupparsi, contiene informazioni non verbali conservate implicitamente. Essa rappresenta ciò che il bambino sa fare in base dell'ordine temporale degli eventi precedentemente vissuti: le cose hanno una sequenza e pertanto si fanno in un certo modo.
La memoria semantica codifica informazioni generalizzate riguardanti il sé e le figure di riferimento; si ritiene che essa compaia a partire dal secondo anno di vita del bambino. La memoria per immagini può essere considerata come costruita da immagini cariche affettivamente provenienti da ogni sistema sensoriale che riflette l'informazione affettiva di base. La memoria episodica invece conserva ricordi di esperienze vissute e cronologicamente organizzate; in essa sono contenute memorie provenienti da diversi sistemi sensoriali. Si presume che si sviluppi dopo la memoria semantica e procedurale e che sia una memoria in parte integrativa nella quale vengono ordinate temporalmente conoscenze semantiche e affettive. Nella prima infanzia i bambini imparano quale significato attribuire all'informazione attraverso l'interazione con le figure d'attaccamento. Quando i genitori rispondono in modo coerente e prevedibile ai segnali dei loro figli, questi ultimi sono messi in grado di apprendere le relazioni causali tra gli eventi (informazione cognitiva) e connettere le informazioni relative al contesto con le proprie sensazioni di benessere o ansietà (informazione affettiva). Nelle situazioni di non responsività, possono esserci delle gravi discrepanze nell'informazione contenuta nei diversi sistemi di memoria e quindi un utilizzo anomalo di certi tipi di informazione rispetto ad altri. Le categorie ansioso-evitante (A) prediligono le informazioni cognitive e inibiscono o falsificano quelle affettive. Le configurazioni ansioso-resistenti o preoccupati (C) privilegiano le informazioni affettive e falsificano quelle cognitive; la categoria B (equilibrata) integra la cognitività e l'affettività senza alterarla. I bambini con pattern di attaccamento (A) privilegeranno certi sistemi di memoria che saranno quella procedurale e quella semantica. I bambini con un pattern di attaccamento C invece utilizzeranno prevalentemente la memoria per immagini e il linguaggio connotativo.
Di conseguenza sia i bambini A che i C escludono alcune informazioni: i primi omettono gli stati affettivi negativi dall'elaborazione dell'informazione, gli altri invece tralasciano la cognitività dall'elaborazione dell'informazione (Crittenden, 2008b).
I bambini con una strategia d'attaccamento C, oltre a omettere la cognitività dall'elaborazione dell'informazione, alternano anche le manifestazioni di collera, di desiderio di conforto e paura. La strategia C è più complessa e comporta due tipi di scissioni: una tra la cognitività e l'affettività, l'altra all'interno degli stati affettivi. Essi fanno esperienza d'imprevedibilità rispetto alla loro figura di riferimento e, quando le stesse figure genitoriali sono incapaci di fornire al figlio protezione o conforto, il bambino è costretto a intensificare il suo stato affettivo, a discapito di altri vissuti (rabbia, paura, desiderio di conforto). Alcuni soggetti si struttureranno sul versante dell'aggressività, altri sul versante della passività. Più i bambini vivono esperienze pericolose, più devono mettere in atto risposte adattive per sentirsi al sicuro.
I bambini con una strategia di attaccamento A hanno fatto esperienza nel rapporto con la figura di attaccamento di situazioni in cui è presente il rifiuto degli stati affettivi. Il pattern A si organizza attraverso una modalità relazionale di rifiuto costante del bisogno di conforto e protezione.
Le manifestazioni e l'inibizione degli stati affettivi sono usati in modo strumentale e non in modo espressivo. La maggioranza dei comportamenti dei bambini sono strategici, il loro scopo è mantenere la protezione della figura d'attaccamento.
Quando l'affettività e la cognitività sono classificati come “veri” significa che le informazioni delle esperienze sono coerenti nei diversi sistemi di memoria come accade nei soggetti con una strategia di attaccamento di tipo Equilibrato (B) (Crittenden, 2008a).
Crittenden, attraverso questo nuovo modello, propone così un sistema di classificazione diverso che deriva da quello precedentemente sviluppato da Mary Ainsworth (Ainsworth et al., 1978; Ainsworth, 2006). Esso presenta varie integrazioni ed espansioni, per esempio“stili di attaccamento, distanziante o preoccupato, ad alto indice”(A3-8;C3-8). Ogni pattern di attaccamento e le relative strategie comportamentali che caratterizzano ciascuna categoria, rappresentano una modalità che permette l'adattamento all'ambiente. Ogni pattern di attaccamento nel corso della vita può evolvere, può subire delle modificazioni, sia di fronte alle varie fasi dello sviluppo, sia a seguito di eventi esistenziali importanti (malattia, trauma, lutto) (Cena, Imbasciati, Baldoni, 2012).
Un vantaggio del “Modello Dinamico-Maturativo”è che considera tre livelli distinti del funzionamento umano, ognuno dei quali può essere oggetto di trattamenti diversi (Crittenden, 2008a). Ne sono esempi le distorsioni di pensieri e affetti che possono comportare inadeguatezze dei comportamenti, gli aspetti relazionali (soprattutto quelli familiari) e infine le strategie adottate per proteggersi dal pericolo. Le tecniche utilizzate per la valutazione del “Modello dinamico-maturativo”dell'attaccamento, oltre a fornire informazioni fondamentali sulla configurazione di attaccamento della persona, possono costituire un primo approccio al trattamento e facilitare lo sviluppo di un'alleanza terapeutica (Crittenden, Landini, 2011).
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